Lei
sa bene che nelle Missioni Cattoliche Italiana della sua circoscrizione
consolare è in atto una radicale trasformazione voluta
dalla Diocesi di Rottenburg-Stuttgart. Oltre a chiamarsi, infatti,
ora ‘Comunità cattoliche italiane' (a Stoccarda ce
ne sono 4), sono inserite nelle ‘Unità pastorali’
diocesane. A suo parere quali conseguenze ci potrebbero essere,
in un quadro più generale, per le nostre comunità?
Fin dal mio arrivo a Stoccarda ho seguito con grande attenzione
il processo di trasformazione delle Missioni Cattoliche Italiane
in Comunità Cattoliche Italiane. Non mi sorprende, che
sia stata la chiesa la Chiesa ad avvertire per prima l’esigenza
di compiere questo passo coraggioso ma indispensabile di integrazione
della popolazione straniera cattolica. Non ci vedo alcuna controindicazione
nel senso che tale processo non comprime l’identità
nazionale degli italiani – di cui la fede cristiana ed il
sentimento religioso sono una componente essentiale – ma
anzi la rafforza e la evidenzia nel complesso istituzionale generale
della chiesa locale. La chiesa, con la sua opera missionaria,
è stata l’istituzione, che anche in Europa ed in
Germania ha subuito colto il dramma umano dell’emigrazione
ed è stata fin dall’inizio presente fra gli emigrati
non solo come missione pastorale, ma anche come punto di riferimento
sul piano sociale e famigliare.
E
la Chiesa è stata la prima qui in Germania a comprendere,
che dopo cinquant'anni dal suo insediamento la comunità
italiana non può continuare a restare nel mezzo del guado,
ma deve completare il percorso iniziato tanti anni fa e raggiungere
l’alta riva e cioè una piena integrazione., la sola
che può garantire pari opportunità nelle società
che li accoglie. Gli italiani devono essere i primi a convincersi
che non sono più degli emigrati, anche perchè in
tale posizione, nella percezione generale, sono subentrati altri
gruppi nazionali di recente immigrazione. Capisco le perplessità,
le riserve ed i dubbi, ma non vedo altre soluzioni, altre strade.
Occorre coraggio e fiducia nei propri mezzi e nelle istituzioni,
civili e religiose, che tutelano i diritti e promuovono gli interessi
dei connazionali. In breve, la trasformazione delle missioni in
comunità all’interno della chiesa è un processo
che, spero, serva da esempio anche in altri settori.. Mi riferisco,
in particolare, alla scuola ed alla scolarizzazione dei ragazzi
italiani. Posso pertanto dire che la politica del Consolato Generale
in tale settore si ispira a ciò che la Chiesa ha fatto
con la creazione delle comunità cattoliche italiane. Si
tratta di campi diversi, ma i principi ispiratori e gli obiettivi
finali non possono essere che gli stessi.
|
|
Sie
wissen, dass die Italienischen Katholischen Missionen Ihres Einzugsgebiets
einer von der Diözese Rottenburg-Stuttgart gewollten radikalen
Veränderung ausgesetzt sind. Außerdem nennt man sie
zwischenzeitlich „Italienische Katholische Gemeinden“
(in Stuttgart gibt es vier davon). Welche Konsequenzen könnte
das Ihrer Einschätzung nach, für unsere Gemeinschaften
haben?
Seit
meiner Ankunft in Stuttgart habe ich mit großer Aufmerksamkeit
den Prozess der Umwandlung der Italienischen Katholischen Missionen
in Italienische Katholische Gemeinden verfolgt. Es überrascht
mich nicht, dass es die Kirche ist, die sich als erste der Notwendigkeit
zuwendet, diesen mutigen und unverzichtbaren Schritt der Integration
der ausländischen katholischen Bevölkerung zu vollziehen.
Ich sehe keine Kontraindikation in dem Sinn, dass dieser Prozess
die nationale Identität der Italiener behindern könnte
– zumal der christlicher Glaube und das religiöse Empfinden
ein wesentlicher Teil davon sind - vielmehr bringt er diesen Aspekt
verstärkt und offensichtlicher im Ganzen der örtlichen
kirchlichen Struktur zum Ausdruck. Die Kirche mit ihrer missionarischen
Seelsorge war die Institution, die auch in Europa und in Deutschland
sich von Anfang an dem menschlichen Drama der Emigration zugewandt
hat und die von Anfang an unter den Emigranten präsent war,
nicht nur als pastorale Mission, sondern auch als Bezugspunkt
im sozialen und familiären Bereich.
Die
Kirche war es auch, die hier in Deutschland als erste begriffen
hat, dass die italienische Gemeinschaft mehr als 50 Jahre seit
ihrer Einpflanzung nicht weiterhin in der Mitte des Flusses stehenbleiben
kann, vielmehr den vor vielen Jahren begonnen Weg zu Ende bringen
und damit das andere Ufer erreichen muss, und das bedeutet in
diesem Fall die volle Integration, denn nur diese kann gleiche
Chancen in der Aufnahmegesellschaft garantieren. Die Italiener
stehen an vorderster Stelle, wenn es darum geht, sich klarzuwerden,
dass sie nicht länger Emigranten sind, denn inzwischen sind
– wie allgemein wahrzunehmen ist - andere nationale Gruppen
erneuter Einwanderung nachgerückt. Ich verstehe die Unsicherheit,
die Vorbehalte und Zweifel, aber ich sehe keine anderen Lösungen
und Wege.
Es
braucht den Mut und das Vertrauen in die eigenen Mittel und Institutionen,
seien es staatliche oder kirchliche, welche die Rechte schützen
und die Interessen der Landsleute voranbringen. Kurz gesagt: Die
Umwandlung der Missionen in Gemeinden innerhalb der Kirche ist
ein Prozess, der - so hoffe ich - als Beispiel auch für andere
Bereiche dient. Ich beziehe mich dabei vor allem auf die Schule
und die Beschulung der italienischen Kinder und Jugendlichen.
Ich kann deshalb sagen, dass die Politik des Generalkonsulats
in diesem Sektor sich inspirieren lässt durch das, was die
Kirche mit der Schaffung der Italienischen Katholischen Gemeinden
geschaffen hat. Es handelt sich um verschiedene Lebens- und Handlungsbereiche,
aber die inspirierenden Prinzipien und die Zielperspektiven können
nur dieselben sein.
(Deutsche Übersetzung: Thomas Raiser)
|